Vittime due volte: della guerra e della loro condizione di giovani donne. Che significa, spesso, dover rinunciare prima dei coetanei maschi alla scuola e subire gravissime violazioni. Quali essere utilizzate come bambine-soldato o mogli-bambine, subire terribili violenze e abusi nell'ambito di raid di pulizia etnica, essere molestate e sfruttate persino all'interno dei campi profughi e per opera di chi dovrebbe proteggerle: personale governativo, insegnanti, operatori umanitari.Si intitola “Bambine senza parola” il Rapporto che Save the Children, la più grande organizzazione internazionale indipendente per la difesa e promozione dei diritti dell'infanzia, diffonde oggi in occasione del rilancio della campagna internazionale “Riscriviamo il Futuro”, partita un anno fa in 47 paesi del mondo con l'obiettivo di portare a scuola ed assicurare entro il 2010 un'istruzione di miglior livello a 8 milioni di bambine e bambini che vivono in nazioni in guerra o reduci da guerre.Un dossier che, fissando l'attenzione sulle bambine e sul devastante impatto che i conflitti hanno sulle loro vite - si stima che l'80% delle vittime civili di una guerra siano donne e bambini - è allo stesso tempo un crudo documento ma anche un'occasione per tornare a dire che il diritto all'istruzione per quei milioni di minori che vivono in aree di conflitto deve essere una priorità dell'agenda politica. Diversamente, 30 milioni di bambini – la maggior parte in nazioni in guerra - saranno ancora esclusi dalla scuola nel 2015 e il secondo e terzo Obiettivo del Millennio, ovvero diritto all'educazione primaria per tutti i bambini e parità di accesso a scuola per bambini e bambine, non verranno raggiunti.“Non ci stancheremo di sottolineare il ruolo e la forza dell'istruzione, formidabile leva di cambiamento, in grado di permettere a una bambina o bambino di emanciparsi da un futuro di povertà, sfruttamento, insicurezza”, commenta Maurizia Iachino, Presidente di Save the Children Italia. “Se poi teniamo presente che il più alto numero di minori esclusi dall'istruzione si trova in paesi in conflitto e che le bambine sono la maggioranza, è chiaro che bisogna concentrare gli sforzi e le risorse sui paesi in guerra e sulle bambine. Altrimenti milioni di ragazze saranno le ultime non solo a scuola ma anche nella vita”.Sono 77 milioni nel mondo i bambini che non vanno a scuola. 39 milioni, stima Save the Children, vivono in uno dei 28 paesi oggi ancora in guerra o reduci da conflitti . In queste nazioni particolarmente, ma anche in quelle stabili e in pace, le bambine risultano discriminate nell'accesso a scuola: il 57% del totale dei minori esclusi dall'istruzione è rappresentato da bambine. Inoltre quasi 1 bambina su 5 che si iscrive in prima elementare, non riesce a completare il ciclo di istruzione primaria. Una condizione di disparità che nei contesti di conflitto si aggrava ulteriormenteIn alcune zone del Sud Sudan, per esempio, l' 82% delle bambine non è iscritto a scuola, mentre nelle aree rurali dell'Afghanistan questa percentuale arriva anche al 92%.“In tempo di guerra le bambine e le adolescenti sono un gruppo particolarmente vulnerabile e a rischio di gravissimi violazioni dovute alla discriminazione di genere e al ruolo che viene assegnato loro nella società”, spiega Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia. Non a caso alla vigilia, durante o subito dopo un conflitto le bambine sono le prime alle quali viene negata la possibilità di andare a scuola.Le ragioni di ciò sono varie: i genitori temono che le scuole possano essere attaccate da miliziani e quindi che le ragazze vengano forzatamente reclutate negli eserciti; oppure temono che le proprie figlie siano vittime di molestie e abusi da parte dei compagni di scuola o degli insegnanti. In altri casi il fattore può essere economico: se ci sono dei costi da sostenere per le rette o il materiale scolastico e le famiglie, impoverite dalla guerra, non hanno soldi sufficienti, le bambine saranno le prime a dover rinunciare alla scuola e ad essere richiamate in casa per supportare economicamente il nucleo familiare.Ma l'impatto di una guerra non si esaurisce qui: donne di tutte le età, documenta il Rapporto “Bambine senza parola”, si trovano ad affrontare lo sfollamento, la perdita di casa e proprietà, di familiari e parenti, la povertà. Donne, ragazze e bambine sono inoltre vittime di omicidi, torture, scomparse, schiavitù sessuale, abusi sessuali e gravidanze e matrimoni forzati, come nel caso di tante bambine assoldate e rapite dalle milizie armate. Si stima che di oltre 250.000 bambini impiegati come soldati, più del 40% siano bambine e adolescenti. Essere “soldato” per una ragazza significa sottostare agli ordini dei combattenti, fare loro da domestica e infermiera, diventare loro “moglie”: ovvero essere oggetto di abusi sessuali da parte di uno o più miliziani, avere elevate probabilità di contrarre il virus dell'Hiv/Aids, nonché di restare incinte anche a 10 anni.Ma guerra significa anche uso della violenza contro le donne, in particolare dello stupro, come vera e propria arma. “La violenza sessuale nei confronti di bambine e adolescenti è spesso utilizzata in campagne sistematiche di terrore e intimidazione, proprio per obbligare i membri di una certo gruppo etnico, culturale o religioso ad abbandonare le loro case”, spiega Carlotta Sami, Direttore dei Programmi di Save the Children Italia.Ma anche quando la guerra sembra essere alle spalle se non addirittura finita bambine e donne rischiano di trovarsi ad affrontare altre violenze, per esempio nei campi rifugiati dove possono subire abusi da parte di funzionari governativi, guardie di frontiera, contrabbandieri, membri delle forze armate e a volte anche di altri rifugiati, durante il lungo cammino verso i campi e all'interno degli stessi. Questi luoghi rappresentano inoltre un luogo di particolare interesse per i trafficanti di esseri umani che prediligono le pre-adolescenti e le bambine essendoci meno possibilità che siano affette dall'Hiv/Aids rispetto alle ragazze più grandi. Infine donne e ragazze non sono al riparo dall'abuso e sfruttamento sessuale neppure quando si trovano a stretto contatto con gli operatori umanitari, come documentato da Save the Children in un suo recente dossier sulla Liberia . Il ruolo e il potere dell'educazioneIn un contesto di così alto rischio e gravi violazioni, sia durante che dopo un conflitto, “la scuola può giocare un ruolo fondamentale per la protezione di ragazze e bambine da abusi e violazioni e rappresentare un luogo sicuro dove ripararsi”, sottolinea Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia. “A scuola poi si apprendono informazioni utili alla salute e sicurezza personali, per esempio sulla prevenzione dell'Hiv/Aids o sulle mine anti-persona”. Infine “la scuola costituisce forse l'unica occasione, per milioni di bambine e bambini che vivono in aree instabili, conflittuali e povere, di garantire a sé e alle proprie comunità un futuro diverso e migliore”. In particolare per le bambine, è ormai appurato lo stretto rapporto fra scolarizzazione femminile e maggiore benessere e sviluppo sociale: per esempio, un aumento dell'1% dell'istruzione femminile genera una crescita del Pil dello 0,37%; l'iscrizione alla scuola primaria delle bambine può produrre una riduzione della mortalità infantile del 4, 1 per mille; l'educazione può contribuire a prevenire circa 700.000 contagi da Hiv all'anno e a migliorare la salute materno-infantile.Una petizione al Governo italiano per garantire il diritto all'istruzione per i bambini in paesi in conflittoA poco più di un anno dal lancio della Campagna Internazionale “Riscriviamo il Futuro” (il 12 settembre scorso), Save the Children continua dunque a fare pressione sui governi e le opinioni pubbliche affinché il diritto all'istruzione per i 39 milioni di minori che vivono in nazioni in guerra o reduci da conflitti, con particolare attenzione alle bambine, sia assunto come prioritario nelle agende politiche nazionali e internazionali e non siano tradite le promesse fatte. Nel 2005 infatti i paesi donatori, compresa l'Italia, hanno assunto impegni in aiuti all'educazione primaria per 3 miliardi di dollari, per poi erogarne circa la metà. In particolare, l'Italia si colloca all'ultimo posto della lista dei paesi donatori per fondi destinati all'educazione: data infatti la cifra di 9 miliardi di dollari necessaria a garantire educazione per tutti i bambini entro il 2015, il nostro paese risulta quello che ha contribuito meno al raggiungimento di tale cifra, con uno stanziamento di appena 15 milioni di dollari. Affinché dunque l'Italia non sia più l'ultima della lista, Save the Children Italia lancia oggi una Petizione con raccolta di firme destinate al Ministro degli Esteri Massimo D'Alema in cui chiede di:- incrementare significativamente gli aiuti all'educazione, destinandone una quota adeguata ai paesi in conflitto- in particolare almeno il 50% dei fondi settoriali per l'istruzione primaria dovrebbe andare alle nazioni colpite o reduci da guerre a cui invece l'Italia destina il 38% di tali fondi - impegnarsi in sede internazionale affinché l'educazione diventi parte rilevante e prioritaria delle politiche e degli interventi in contesti di emergenza- in particolare, al fine di garantire non solo l'accesso all'istruzione, ma anche standard di qualità adeguati, è necessario diffondere e promuovere l'utilizzo dei Minimum Standards for Education in Emergencies, Chronic Crises and Early Reconstruction (MSEE) nel ripristino dei servizi scolastici durante e dopo un conflitto.Inoltre Save the Children chiede e raccomanda al Governo italiano di: - promuovere e sollecitare nelle sedi internazionali una maggiore partecipazione e coinvolgimento delle donne nelle operazioni di peacekeeping e nei processi di post conflitto, in quanto elemento chiave non solo per la tutela e la promozione dei diritti delle donne, delle bambine e dei bambini in contesti di guerra o post conflitto, ma anche come uno dei fattori di successo dell'intervento stesso - adoperarsi affinché siano incrementati e implementati i programmi di smobilitazione e riabilitazione (Ddr ) per le ex-bambine soldato, attualmente pari al 2% del totale dei programmi di Ddr.La versione integrale del Rapporto “Bambine senza parola” è scaricabile all'indirizzo:
www.savethechildren.it/pubblicazioni E' disponibile un b-roll con immagini e videonews, foto e storie di bambini in paesi in guerra (per es. Afghanistan, Uganda, Costa D'Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Liberia).