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venerdì 12 ottobre 2007

Burundi: sostieni la campagna per il disarmo



Nonostante l'arrivo della democrazia nell'agosto 2005, le armi leggere che circolano in Burundi sono ancora moltissime. Si stimano oltre 100.000 le armi in possesso delle famiglie o nascoste nelle foreste! Esse vengono usate da bande armate e piccoli gruppi che circolano di notte per rubare, oppure da ex-militari e ribelli che tornati a casa dalla guerra non trovano lavoro, oppure ancora da ragazzi disorientati e psicologicamente provati dalle atrocità vissute nella guerra civile dalla quale il Burundi sta uscendo. I massacri, le atrocità dei macete ed i 14 anni di guerra “a bassa intensità” hanno impoverito la popolazione burundese a tal punto che oggi le armi leggere si rivelano spesso un mezzo scelto per uscire dall'estrema povertà. Si incrementano così la violenza, la piccola criminalità e la corruzione e rallenta ulteriormente il processo di pace e democratizzazione del Paese. Ora che la guerra è terminata, è fondamentale che il Governo burundese si impegni nell'eliminazione delle armi per dare un segno forte alla popolazione burundese nell'istituzione di una vera democrazia basata sulla fiducia tra i cittadini e tra cittadini e politici.


Chiediamo dunque:


* che le operazioni di disarmo totale della popolazione civile burundese, iniziate con la supervisione dell'ONU già nel 2005, vengano portate a termine;
* e che un controllo costante sulle azioni di compra-vendita di armi in Burundi. sia effettuato.

Aderisci anche tu, sottoscrivendo la lettera (in visione sul nostro sito) che invieremo il 15 dicembre al Presidente del Burundi e ai Rappresentanti dei Partiti burundesi, e per conoscenza ai Ministri degli Esteri dei Paesi Europei e ai rappresentanti della Comunità Europea affinché diano il loro totale appoggio a questa iniziativa.

Padre Claudio Marano e i 28mila Giovani del Centre Jeunes di Kamenge - Bujumbura


Educazione: a causa delle guerre sono le bambine le prime ad essere escluse dall'istruzione


Vittime due volte: della guerra e della loro condizione di giovani donne. Che significa, spesso, dover rinunciare prima dei coetanei maschi alla scuola e subire gravissime violazioni. Quali essere utilizzate come bambine-soldato o mogli-bambine, subire terribili violenze e abusi nell'ambito di raid di pulizia etnica, essere molestate e sfruttate persino all'interno dei campi profughi e per opera di chi dovrebbe proteggerle: personale governativo, insegnanti, operatori umanitari.Si intitola “Bambine senza parola” il Rapporto che Save the Children, la più grande organizzazione internazionale indipendente per la difesa e promozione dei diritti dell'infanzia, diffonde oggi in occasione del rilancio della campagna internazionale “Riscriviamo il Futuro”, partita un anno fa in 47 paesi del mondo con l'obiettivo di portare a scuola ed assicurare entro il 2010 un'istruzione di miglior livello a 8 milioni di bambine e bambini che vivono in nazioni in guerra o reduci da guerre.Un dossier che, fissando l'attenzione sulle bambine e sul devastante impatto che i conflitti hanno sulle loro vite - si stima che l'80% delle vittime civili di una guerra siano donne e bambini - è allo stesso tempo un crudo documento ma anche un'occasione per tornare a dire che il diritto all'istruzione per quei milioni di minori che vivono in aree di conflitto deve essere una priorità dell'agenda politica. Diversamente, 30 milioni di bambini – la maggior parte in nazioni in guerra - saranno ancora esclusi dalla scuola nel 2015 e il secondo e terzo Obiettivo del Millennio, ovvero diritto all'educazione primaria per tutti i bambini e parità di accesso a scuola per bambini e bambine, non verranno raggiunti.“Non ci stancheremo di sottolineare il ruolo e la forza dell'istruzione, formidabile leva di cambiamento, in grado di permettere a una bambina o bambino di emanciparsi da un futuro di povertà, sfruttamento, insicurezza”, commenta Maurizia Iachino, Presidente di Save the Children Italia. “Se poi teniamo presente che il più alto numero di minori esclusi dall'istruzione si trova in paesi in conflitto e che le bambine sono la maggioranza, è chiaro che bisogna concentrare gli sforzi e le risorse sui paesi in guerra e sulle bambine. Altrimenti milioni di ragazze saranno le ultime non solo a scuola ma anche nella vita”.Sono 77 milioni nel mondo i bambini che non vanno a scuola. 39 milioni, stima Save the Children, vivono in uno dei 28 paesi oggi ancora in guerra o reduci da conflitti . In queste nazioni particolarmente, ma anche in quelle stabili e in pace, le bambine risultano discriminate nell'accesso a scuola: il 57% del totale dei minori esclusi dall'istruzione è rappresentato da bambine. Inoltre quasi 1 bambina su 5 che si iscrive in prima elementare, non riesce a completare il ciclo di istruzione primaria. Una condizione di disparità che nei contesti di conflitto si aggrava ulteriormenteIn alcune zone del Sud Sudan, per esempio, l' 82% delle bambine non è iscritto a scuola, mentre nelle aree rurali dell'Afghanistan questa percentuale arriva anche al 92%.“In tempo di guerra le bambine e le adolescenti sono un gruppo particolarmente vulnerabile e a rischio di gravissimi violazioni dovute alla discriminazione di genere e al ruolo che viene assegnato loro nella società”, spiega Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia. Non a caso alla vigilia, durante o subito dopo un conflitto le bambine sono le prime alle quali viene negata la possibilità di andare a scuola.Le ragioni di ciò sono varie: i genitori temono che le scuole possano essere attaccate da miliziani e quindi che le ragazze vengano forzatamente reclutate negli eserciti; oppure temono che le proprie figlie siano vittime di molestie e abusi da parte dei compagni di scuola o degli insegnanti. In altri casi il fattore può essere economico: se ci sono dei costi da sostenere per le rette o il materiale scolastico e le famiglie, impoverite dalla guerra, non hanno soldi sufficienti, le bambine saranno le prime a dover rinunciare alla scuola e ad essere richiamate in casa per supportare economicamente il nucleo familiare.Ma l'impatto di una guerra non si esaurisce qui: donne di tutte le età, documenta il Rapporto “Bambine senza parola”, si trovano ad affrontare lo sfollamento, la perdita di casa e proprietà, di familiari e parenti, la povertà. Donne, ragazze e bambine sono inoltre vittime di omicidi, torture, scomparse, schiavitù sessuale, abusi sessuali e gravidanze e matrimoni forzati, come nel caso di tante bambine assoldate e rapite dalle milizie armate. Si stima che di oltre 250.000 bambini impiegati come soldati, più del 40% siano bambine e adolescenti. Essere “soldato” per una ragazza significa sottostare agli ordini dei combattenti, fare loro da domestica e infermiera, diventare loro “moglie”: ovvero essere oggetto di abusi sessuali da parte di uno o più miliziani, avere elevate probabilità di contrarre il virus dell'Hiv/Aids, nonché di restare incinte anche a 10 anni.Ma guerra significa anche uso della violenza contro le donne, in particolare dello stupro, come vera e propria arma. “La violenza sessuale nei confronti di bambine e adolescenti è spesso utilizzata in campagne sistematiche di terrore e intimidazione, proprio per obbligare i membri di una certo gruppo etnico, culturale o religioso ad abbandonare le loro case”, spiega Carlotta Sami, Direttore dei Programmi di Save the Children Italia.Ma anche quando la guerra sembra essere alle spalle se non addirittura finita bambine e donne rischiano di trovarsi ad affrontare altre violenze, per esempio nei campi rifugiati dove possono subire abusi da parte di funzionari governativi, guardie di frontiera, contrabbandieri, membri delle forze armate e a volte anche di altri rifugiati, durante il lungo cammino verso i campi e all'interno degli stessi. Questi luoghi rappresentano inoltre un luogo di particolare interesse per i trafficanti di esseri umani che prediligono le pre-adolescenti e le bambine essendoci meno possibilità che siano affette dall'Hiv/Aids rispetto alle ragazze più grandi. Infine donne e ragazze non sono al riparo dall'abuso e sfruttamento sessuale neppure quando si trovano a stretto contatto con gli operatori umanitari, come documentato da Save the Children in un suo recente dossier sulla Liberia . Il ruolo e il potere dell'educazioneIn un contesto di così alto rischio e gravi violazioni, sia durante che dopo un conflitto, “la scuola può giocare un ruolo fondamentale per la protezione di ragazze e bambine da abusi e violazioni e rappresentare un luogo sicuro dove ripararsi”, sottolinea Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia. “A scuola poi si apprendono informazioni utili alla salute e sicurezza personali, per esempio sulla prevenzione dell'Hiv/Aids o sulle mine anti-persona”. Infine “la scuola costituisce forse l'unica occasione, per milioni di bambine e bambini che vivono in aree instabili, conflittuali e povere, di garantire a sé e alle proprie comunità un futuro diverso e migliore”. In particolare per le bambine, è ormai appurato lo stretto rapporto fra scolarizzazione femminile e maggiore benessere e sviluppo sociale: per esempio, un aumento dell'1% dell'istruzione femminile genera una crescita del Pil dello 0,37%; l'iscrizione alla scuola primaria delle bambine può produrre una riduzione della mortalità infantile del 4, 1 per mille; l'educazione può contribuire a prevenire circa 700.000 contagi da Hiv all'anno e a migliorare la salute materno-infantile.Una petizione al Governo italiano per garantire il diritto all'istruzione per i bambini in paesi in conflittoA poco più di un anno dal lancio della Campagna Internazionale “Riscriviamo il Futuro” (il 12 settembre scorso), Save the Children continua dunque a fare pressione sui governi e le opinioni pubbliche affinché il diritto all'istruzione per i 39 milioni di minori che vivono in nazioni in guerra o reduci da conflitti, con particolare attenzione alle bambine, sia assunto come prioritario nelle agende politiche nazionali e internazionali e non siano tradite le promesse fatte. Nel 2005 infatti i paesi donatori, compresa l'Italia, hanno assunto impegni in aiuti all'educazione primaria per 3 miliardi di dollari, per poi erogarne circa la metà. In particolare, l'Italia si colloca all'ultimo posto della lista dei paesi donatori per fondi destinati all'educazione: data infatti la cifra di 9 miliardi di dollari necessaria a garantire educazione per tutti i bambini entro il 2015, il nostro paese risulta quello che ha contribuito meno al raggiungimento di tale cifra, con uno stanziamento di appena 15 milioni di dollari. Affinché dunque l'Italia non sia più l'ultima della lista, Save the Children Italia lancia oggi una Petizione con raccolta di firme destinate al Ministro degli Esteri Massimo D'Alema in cui chiede di:- incrementare significativamente gli aiuti all'educazione, destinandone una quota adeguata ai paesi in conflitto- in particolare almeno il 50% dei fondi settoriali per l'istruzione primaria dovrebbe andare alle nazioni colpite o reduci da guerre a cui invece l'Italia destina il 38% di tali fondi - impegnarsi in sede internazionale affinché l'educazione diventi parte rilevante e prioritaria delle politiche e degli interventi in contesti di emergenza- in particolare, al fine di garantire non solo l'accesso all'istruzione, ma anche standard di qualità adeguati, è necessario diffondere e promuovere l'utilizzo dei Minimum Standards for Education in Emergencies, Chronic Crises and Early Reconstruction (MSEE) nel ripristino dei servizi scolastici durante e dopo un conflitto.Inoltre Save the Children chiede e raccomanda al Governo italiano di: - promuovere e sollecitare nelle sedi internazionali una maggiore partecipazione e coinvolgimento delle donne nelle operazioni di peacekeeping e nei processi di post conflitto, in quanto elemento chiave non solo per la tutela e la promozione dei diritti delle donne, delle bambine e dei bambini in contesti di guerra o post conflitto, ma anche come uno dei fattori di successo dell'intervento stesso - adoperarsi affinché siano incrementati e implementati i programmi di smobilitazione e riabilitazione (Ddr ) per le ex-bambine soldato, attualmente pari al 2% del totale dei programmi di Ddr.La versione integrale del Rapporto “Bambine senza parola” è scaricabile all'indirizzo: www.savethechildren.it/pubblicazioni

E' disponibile un b-roll con immagini e videonews, foto e storie di bambini in paesi in guerra (per es. Afghanistan, Uganda, Costa D'Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Liberia).


E' possibile firmare online la Petizione all'indirizzo: http://www.savethechildren.it/


Per ulteriori informazioni:Ufficio Stampa – Save the Children Italia tel. 06.48070023-71 press@savethechildren.it


Tata annuncia l'arrivo dell'auto di massa da €1790


Tremate: è arrivata la Ford T dell’India. L’auto per le masse. Si chiama 1 Lakh Car (auto da 100′000 rupie) e sarà in vendita dal prossimo anno. Il prezzo in euro lascia a bocca aperta: €1790!
La produzione iniziale prevista è di ben 250′000 esemplari, ma a regime dovrebbe arrivare ad 1′000′000 di vetture l’anno. Pur costando pochissimo, la qualità non è infima: l’auto è stata progettata da ingegneri indiani low-cost con partner europei di tutto rispetto (da Bosch e Fiat per il motore alla torinese Idea per il design).


Ratan Tata, patron della casa produttrice, ragiona davvero come il Ford o l’Agnelli indiano: “Sono molto orgoglioso di essere indiano e mi preoccupo di migliorare la qualità della vita dei miei connazionali. Qui è facile vedere 4-5 persone su un motociclo, in equilibrio precario, durante i monsoni o con il brutto tempo. Vorrei portarli tutti a non rischiare più così tanto”. Non per niente alla Tata chiamano la futura auto “auto del popolo” (”people’s car“, ricorda la volkswagen, nevvero?).L’India è cioè nella fase storica in cui era l’Italia negli anni ‘60, quando si passava dalla Lambretta o dalla Vespa alla 500.


Gran Bretagna. Carrello avverte se cibo scelto è calorico

Un’equipe di ingegneri britannici ha messo a punto il primo carrello da supermercato intelligente in grado di avvertire i consumatori se stanno scegliendo cibi ad alto contenuto calorico, di zuccheri o di grassi. Oltre a rappresentare uno strumento utile per la lotta all’obesità i carrelli potranno anche sostituire la confezione di certi prodotti: le informazioni riguardanti un certo alimento compariranno infatti su uno schermo del carrello. I carrelli - che verranno presentati alla conferenza annuale dell’Institute for Grocery Distribution - avvertiranno anche il consumatore dell’esistenza di determinate offerte, indicheranno dove il prodotto si trova all’interno del supermercato e nel caso di chi è in possesso di una ‘carta fedeltà’ conosceranno anche le abitudini alimentari di chi lo utilizza. ‘‘T utti vogliono informazioni maggiori e diverse, ma non tutti vogliono sapere tutto di un prodotto. Molti consumatori sostengono che le liste degli ingredienti su un prodotto sono troppo lunghe e complicate da leggere e da capire. sarà più semplice da leggere sullo schermo. Ci sarà anche un sistema di luci di allerta quando si controlla quanto salutare è la propria spesa. Non ti impedirà di acquistare dei biscotti ma ti farà pensare alla cosa’’, ha dichiarato Sion Roberts, direttore per la distribuzione di EDS , la società che ha sviluppato i carrelli. (ANSA)

Ogm: Greenpeace denuncia utilizzo negli Usa di riso transgenico nella birra

Greenpeace, in occasione dell’incontro svoltosi alla Camera su “Sovranità alimentare e politica”, promosso dalla coalizione “ItaliaEuropa-liberi da ogm”, pubblica i risultati delle analisi che dimostrano l’utilizzo di riso ogm, non testato, in uno dei birrifici della Anheuser-Busch, in Arkansas (Stati Uniti), dove viene prodotto il proprio marchio di birra, la Budweiser. Birra che in Italia viene prodotta e commercializzata dalla Heineken. Un laboratorio indipendente, incaricato da greenpeace, ha rilevato la presenza di riso transgenico (bayer ll601), in tre dei quattro campioni prelevati presso il birrificio. Il riso ogm in questione è una delle varietà che nel 2006 hanno contaminato gli stock di riso degli Usa. (Agrapress)

Una carta prepagata per sostenere le donne palestinesi

Il commercio equo può essere uno strumento di sviluppo anche in situazioni di crisi come quella Palestinese. Lo dimostra il progetto promosso dall’organizzazione non governativa palestinese PARC (Palestinian Agricultural Relief Committees) che aiuta 600 donne palestinesi in 40 villaggi della Cisgiordania e di Gaza impegnate in attività rurali e artigianali e cerca per loro nuovi canali commerciali anche in Italia. La carta “Dai credito alla pace” è stata presentata alla Marcia per la pace Perugia - Assisi. In pratica si tratta di una vera e propria Carta Bancomat prepagata che potrà essere acquistata versando 5 euro. Per ogni carta emessa, Banca Etica verserà al progetto “Dai credito alla pace” la somma corrispondente ad 1 Euro. La carta può essere ricaricata effettuando un versamento presso qualsiasi banca italiana e può essere utilizzata per prelevamenti e pagamenti in Italia e all`estero. Sulla stessa carta è possibile inoltre attivare la funzione “carta di credito” per pagamenti in internet. Per prenotarla non serve avere un conto corrente in Banca Etica, basta recarsi con documento d’identità e codice fiscale presso una delle sue 11 Filiali o contattare il Banchiere Ambulante più vicino.

Per informazioni: www.bancaetica.it/contatti.
(Comunicato Stampa)

giovedì 11 ottobre 2007

Niger, massacro di Tuareg nel nord

L'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) si è rivolta all'Alto Commissario per i Diritti Umani dell'ONU Louise Arbour affinché vengano verificate le insistenti voci che parlano del massacro di 32 Tuareg nel nord del Niger. Se le voci dovessero risultare confermate il rischio è quello dell'inasprimento del conflitto con i Tuareg nel Niger e nel Mali.
Secondo alcuni testimoni, l'1 ottobre 2007 le forze militari del Niger avrebbero fermato cinque macchine in una zona vicina alla frontiera con l'Algeria. Avrebbero poi diviso i dodici Tuareg dalla pelle più chiara dagli altri passeggeri e li avrebbero fucilati sul posto. Il giorno dopo dei soldati avrebbero ucciso altri 20 Tuareg nella loro tenda sulla strada tra Arlit e Assamakka. Le autorità del Niger sostengono che si trattasse di 19 banditi ma secondo i testimoni si trattava di civili disarmati.
All'inizio degli anni '90 il conflitto Tuareg in Niger e in Mali si era inasprito in seguito ai massacri compiuti dall'esercito contro la popolazione civile Tuareg. Un accordo di pace del 1995 riuscì a porre fine agli scontri armati, ma in gennaio 2007 il conflitto si è nuovamente riacceso in Niger e in agosto 2007 si è allargato anche al vicino Mali.

Fonte: http://www.vita.it/articolo/index.php3?NEWSID=85468